Finalmente, Anthony Fauci ha deciso di togliersi qualche sassolino di troppo dalle scarpe. In un’intervista a cuore aperto rilasciata al “New York Times”, l’ormai celebre immunologo di origini italoamericane a capo del “National Institute of Allergy and Infectious Diseases”, racconta i battibecchi, le differenze di vedute e le durissime pressioni a cui era sottoposto durante i mesi trascorsi a capo della task force della Casa Bianca nell’era dell’amministrazione Trump.
Usando un’espressione idiomatica tipica dello slang americano, Fauci sapeva di essere percepito e apostrofato come “Una puzzola al picnic”, modo gergale per definire una presenza poco gradita, che nessuno vuole. I rapporti tra l’immunologo e Trump non sono stati semplici fin dall’inizio, ammette Fauci: “Nel periodo della prima emergenza che stava toccando in maniera profonda il nord-est provavo a ripetergli che la situazione era grave e preoccupante, e lui mi rispondeva “Non mi sembra che vada così male”. E peggio ancora andava quando il presidente si lanciava in spiegazioni di rimedi che aveva sentito chissà dove e da chi: tentavo di rispondergli che non c’era alcuna evidenza scientifica e lui replicava di essere certo dell’efficacia. Spesso, il presidente mi chiamava al telefono per rimproverarmi, chiedendomi il vero motivo di tanto disfattismo, per lui avremmo dovuto avere un approccio più positivo”.
È uno sfogo che più volte Fauci interrompe precisando di avere profondo rispetto per la carica del presidente degli Stati Uniti, ma anche della fermezza con cui si rifiutava di avallare decisioni e posizioni controverse. “Una volta Peter Navarro, un consigliere di Trump, mi ha affrontato a muso duro citando 25 studi secondo cui l’idrossiclorochina funzionava egregiamente. Quella volta la situazione si è fatta parecchio tesa”.
Il reporter del NYC gli ricorda le tante volte in cui dalla Casa Bianca giungevano voci che lo davano prossimo al licenziamento, ma Fauci serafico risponde: “Non ho mai pensato che volesse farlo davvero: era solo Donald Trump che giocava a fare Donald Trump. Non ho mai nemmeno pensato di presentare le mie dimissioni malgrado mia moglie – che è una persona assai saggia – spesso mi abbia consigliato di farlo, ma quando replicavo dava ragione a me: non potevo andarmene, avrei creato un vuoto nel Paese, senza qualcuno disposto a raccontare la verità, perché avevano tutti la tendenza a minimizzare e a ripetersi l’un l’altro che le cose andavano bene. Spesso ero costretto a interromperli per ricordare che il virus era una questione molto seria. La cosa che mi ha più preoccupato sono state le tante minacce verso di me e la mia famiglia: chiamavano i miei figli a casa, dimostrando di sapere dove abitavano e un giorno nella posta ho ricevuto una busta: aprendola una polvere bianca mi è schizzata addosso. E stata subito analizzata e per fortuna non era nulla di nocivo, ma è stata un’esperienza ugualmente spaventosa”.