Nei giorni scorsi la notizia della sospensione della pena capitale stabilita dal giudice Patrick Hanlon aveva ridato forza alle associazioni umanitarie: Lisa Montgomery, l’unica donna rinchiusa nel braccio della morte negli Stati Uniti, sembrava potersi salvare.
Ma ieri, poco dopo la mezzanotte ora locale, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la sentenza dando il via libera: all’una e mezza di questa notte, Lisa Montgomery, 52 anni, ha ricevuto l’iniezione letale nella “Death Room” del penitenziario di Terre Hatue, nell’Indiana, diventando la prima donna giustiziata negli Stati Uniti da 70 anni a questa parte.
L’undicesima condanna a morte eseguita dallo scorso luglio, da quando il presidente Trump ha ripristinato la pena interrompendo 17 anni di moratoria, è stata anche una delle più controverse. Lisa Montgomery era stata condannata per un delitto atroce commesso nel 2004: aveva strangolato Bobbie Jo Stinnet, una donna del Missouri incinta all’ottavo mese per rubarle la bimba che aveva in grembo. Arrestata e condannata, la sua difesa ha puntato tutto sulla seminfermità mentale dell’omicida, vittima di danni psicologici per le numerose violenze di ogni tipo subite durante l’infanzia.
Furioso Kelley Henry, l’avvocato di Lisa Montgomery, convinto che il governo federale abbia violato la Costituzione, la legge e il proprio regolamento per eseguire la condanna a morte: “Stasera si è mostrata in pieno la sete di sangue di un’amministrazione fallimentare, perché la nostra Costituzione vieta l’esecuzione di persone non in grado di intendere e di volere, ma l’hanno uccisa comunque. Tutti coloro che hanno partecipato all’esecuzione di Lisa Montgomery dovrebbero vergognarsi”.