Ci sono almeno 40 fra indagini e inchieste di ogni tipo ad aspettare con impazienza il ritorno di Donald Trump allo status di privato cittadino dopo i quattro anni alla Casa Bianca, chiusi con un finale degno di un film.
Una delle prime rese dei conti arriva dalla Corte Suprema, che ha spianato la strada a un procuratore di New York per ottenere le dichiarazioni dei redditi dell’ex presidente, infliggendo un sonoro schiaffo a Trump, che da sempre combatte ferocemente perché la sua documentazione finanziaria rimanga segreta. I documenti saranno soggetti alle regole di privacy del gran giurì che limitano il loro rilascio pubblico.
In pratica, significa che l’indagine del gran giurì sui presunti pagamenti occulti fatti da Michael Cohen, ex avvocato personale del tycoon alla pornostar Stormy Daniels e all’ex modella di Playboy Karen McDougal, non sarà più ostacolata dalla lotta ostinata di Trump per mantenere i documenti segreti. L’ufficio del procuratore distrettuale dovrebbe avere accesso al materiale nei prossimi giorni.
I mandati di comparizione riguardano documenti dal gennaio 2011 all’agosto 2019, comprese le dichiarazioni dei redditi dell’ex tycoon, sempre rimaste segrete. I documenti si riferiscono all’uso di fondi della Trump Organization per pagamento “hush money”.
Anche se gli avvocati personali di Trump hanno la facoltà di ricorrere in appello, il fatto che i documenti saranno rilasciati dalla società di contabilità di Trump, la “Mazars”, mette la parola fine alla questione. In una dichiarazione, l’ex presidente ha bollato l’indagine di Vance come “la prosecuzione della più grande caccia alle streghe politica nella storia del nostro paese. La Corte Suprema non avrebbe mai dovuto lasciare che tutto questo avvenisse, ma lo ha fatto”.
La “Mazars”, in una nota, si dice “impegnata nel soddisfare tutti i nostri obblighi professionali e legali. Ma precisiamo che Mazars non può discutere di nessun cliente, o della natura dei nostri servizi, in un contesto pubblico senza il consenso del cliente”.
Lo scorso luglio, la Corte Suprema, votando 7-2, ha respinto le richieste di immunità di Trump dalle richieste di ottenere le sue dichiarazioni dei redditi, affermando che in qualità di presidente non aveva diritto a nessun tipo di trattamento particolare rispetto ai normali cittadini. I giudici hanno rimandato il caso alla corte inferiore in modo che il presidente potesse fare obiezioni più mirate riguardo al mandato di comparizione.
A ottobre, una corte d’appello federale ha stabilito che “non c’è nulla che suggerisca che questi siano documenti ordinari rilevanti per un’indagine del gran giurì su una possibile cattiva condotta finanziaria o aziendale”. Gli avvocati personali di Trump hanno poi chiesto l’intervento della Corte Suprema, esortando i giudici a mettere in attesa la sentenza del tribunale inferiore.
“Il mandato di comparizione è geograficamente esteso, temporalmente espansivo e illimitato, tutti attributi che tolgono il sospetto di una caccia alle streghe. Anche se la divulgazione è limitata al gran giurì e ai procuratori, una volta che i documenti saranno consegnati, la riservatezza di Trump sarà persa per sempre”.