Robert Mueller, il granitico procuratore speciale che ha speso gli ultimi due anni della sua vita nelle complicate indagini del “Russiagate”, si è dimesso. Ma nel suo discorso finale, prima di “tornare alla vita privata”, spiega come leggere fra le righe il tanto discusso rapporto finale, quello che la Casa Bianca ha accolto con un sospiro di sollievo perché non c’era traccia di accuse verso il presidente Trump.
“Parlo adesso perché l’inchiesta è completa e gli atti sono pubblici. Se fossimo stati convinti che il presidente non avesse commesso alcun reato l’avremmo detto - esordisce Mueller - ma incriminare un presidente in carica non è fra le opzioni concesse dal dipartimento di giustizia. Sulla base dei fatti e delle leggi, non avremmo potuto arrivare a questa conclusione. Di conseguenza, per quanto questo rapporto non si concluda dicendo che il presidente ha commesso un reato, non lo esonera nemmeno. A questo punto, quelle pagine parlano da sole”.
Mueller sapeva fin dall’inizio del mandato di indagine, che in qualsiasi caso la conclusione non avrebbe potuto essere l’incriminazione. In pratica, la scelta possibile era fra scagionarlo completamente o lasciargli addosso almeno l’ombra del dubbio.
L’affondo di Mueller prosegue: “I tentativi del presidente di influenzare l’indagine sono stati quasi tutti vani, ma questo si deve soprattutto al fatto che le persone che lo circondavano si rifiutavano di eseguire i suoi ordini”.