È una tattica costante della presidenza Trump: spostare qualsiasi colpa o accusa verso un obiettivo diverso per allontanare gli obiettivi dalla figura dell’ex tycoon, specie quando è in difficoltà. L’ultimo tentativo è stato quello di assicurare alla nazione di essere in possesso di prove sufficienti per affermare che il Covid-19 ha avuto origine in un laboratorio di Wuhan. Frasi forti e rischiose, a cui non ha voluto aggiungere altro di fronte alle domande dei giornalisti.
Poche ore prima, gli alti funzionari dell’intelligence affermavano che al momento non esiste alcuna prova certa e che si stanno esplorando due possibilità, ma nessuno è ancora in grado di stabilire se l’epidemia “è stato il risultato di un incidente in un laboratorio a Wuhan” o è iniziata “attraverso il contatto con animali infetti”.
È insolito che l’intelligence commenti pubblicamente il suo lavoro prima di una valutazione formale. La dichiarazione sembra essere arrivata in risposta alle crescenti domande sulle origini del virus, dato che i funzionari dell’amministrazione Trump hanno passato settimane a far circolare ripetutamente la teoria che il virus abbia avuto origine all’interno di un laboratorio cinese.
Nonostante gli avvertimenti degli scienziati e dei professionisti dell’intelligence, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha continuato a spingere per avere dettagli precisi sull’origine del virus. Il New York Times è stato il primo a riferire che alcuni alti funzionari dell’amministrazione Trump spingano le agenzie di intelligence statunitensi che indagano sull’origine a “cercare prove” che colleghino il virus a un laboratorio cinese.
Ma mentre sotto le pressioni della Casa Bianca si tenta di arrivare ad una conclusione certa, i funzionari escludono la possibilità che il virus sia stato “creato dall’uomo o geneticamente modificato”, confutando le teorie di cospirazione che continuano a circolare.
Trump è ancora nell’occhio del ciclone sulla sua gestione della pandemia e respinge le indiscrezioni secondo cui gli avvertimenti fossero arrivati sulla sua scrivania fra gennaio e febbraio. Il flebile e tortuoso rapporto di Trump con la comunità dei servizi segreti risale fin i primi giorni della sua presidenza, quando ha messo in discussione le loro valutazioni, in particolare la conclusione che la Russia avesse interferito nelle elezioni presidenziali del 2016.
Trump non ama perdere molto tempo nei briefing giornalieri, preferisce che i funzionari dell’intelligence gli presentino idee politiche piuttosto che informazioni. Ma è una prassi del tutto insolita: normalmente, l’intelligence presenta le informazioni in modo che sia l’amministrazione a fare una scelta politica.