Ufficialmente nessuno ne parla, ma nelle file dei Repubblicani cresce il numero di coloro che starebbero pensando all’ipotesi più estrema: chiedere a Trump un “drop out”, ovvero non ricandidarsi per il secondo mandato. Perfino “Fox News”, emittente apertamente schierata dalla parte del presidente, teme una sconfitta di proporzioni devastanti che potrebbe segnare il futuro del partito conservatore per gli anni a venire.
I sondaggi, quelli che Trump considera numeri ridicoli e fasulli, non lasciano molto scampo: la credibilità del presidente, sotto tiro da parte di tutti per la manifesta incapacità di governare e guidare il più grande Paese al mondo, è ormai più che un’evidenza, mostrata da distacchi abissali che Biden continua ad accumulare, e senza neanche il bisogno di forzare la mano più di tanto.
Ma la gestione confusa e per nulla efficace della pandemia, con migliaia di infetti e di morti, infarcita di inviti a soluzioni “fai da te” imbarazzanti, la scarsa presa di posizione sulle questioni razziali che hanno infiammato gli Stati Uniti dalla morte di George Floyd, e adesso una campagna elettorale che doveva puntare sull’economia, e invece deve fare i conti con quasi 40 milioni di disoccupati, non lasciano molti argomenti nelle mani di Trump.
Secondo gli analisti politici, The Donald non sarebbe tipo di accettare un simile invito, senza contare che nella storia della presidenza americana non esistono precedenti, ma se mai fosse, si tratterebbe della degna conclusione di quattro anni fra i più strani e confusi nella storia americana, in cui da paese condottiero gli Stati Uniti si sono trasformati in un territorio chiuso a riccio, insensibile al resto del mondo e perfino scortese con i Paesi storicamente amici e alleati.
Fra gli ultimi sonori schiaffoni assestati alle guance di Trump è arrivato quello assai sonoro di Carl Bernstein, pericoloso giornalista e scrittore che ha nel carniere la testa di un altro presidente: Richard Nixon, messo in croce per lo scandalo Watergate scoppiato nel 1972 grazie a Woodward e lo stesso Bernstein, allora giornalisti di punta del “Washington Post”.
Bernstein ha realizzato per la CNN un’inchiesta raccogliendo le testimonianze di diversi funzionari della Casa Bianca che hanno svelato il tono di centinaia di telefonate fra Trump e i potenti della Terra. Una galleria di atteggiamenti multiformi in cui Donald cambia faccia ed espressioni in base a chi ha dall’altro capo del telefono, facendosi di volta in volta duro o comprensivo e perfino affascinato.
The Donald sarebbe addirittura deferente quando parla con Vladimir Putin e Recep Erdogan, rispettivamente premier russo e turco, ma in compenso aggressivo e sgradevole verso il premier canadese Justin Trudeau, sprezzante verso i suoi predecessori Obama e Bush, ma soprattutto nei confronti di Angela Merkel e l’ex premier britannica Theresa May, entrambe definite “stupide, deboli e vigliacche”.
In compenso del tutto rapito da Mohammed Bin Salman, il discusso principe ereditario saudita, e da Kim Jong-un, il bizzoso leader nordcoreano definito “un genio”.
Ma non è solo su simpatie e antipatie personali che si basa il reportage di Bernstein, quanto piuttosto sull’assoluta impreparazione del presidente di fronte a temi internazionali di cui non sapeva quasi nulla.
Consigliato dal suo staff, Trump nelle scorse ore sembra aver iniziato un lento cambio di rotta, a cominciare dall’uso delle mascherine, prima rifiutate categoricamente e adesso vivamente consigliate come uno dei metodi più sicuri per evitare il contagio. Dopo 2,7 milioni di americani contagiati, l’ha capito.