Di Germano Longo
Sono passati poco più di vent’anni dalla maledetta mattina del 20 aprile 1999: quel giorno Eric Harris e Dylan Klebold entrano nell’istituto che frequentano, la “Columbine High School”, e fanno strage di compagni di scuola ed insegnanti. Quello che in America è ricordato come uno dei più sanguinosi episodi di “school shooting”, costa la vita a 15 persone, a cui aggiungere 24 feriti. Fra questi c’era Austin Eubanks, 18 anni, ferito ma fortunato di essere ancora vivo.Quel giorno Austin era in biblioteca insieme ad altri suoi compagni: stavano decidendo se dopo la scuola fosse stato meglio andare a pesca o fare una partita a golf. Ma un insegnante era entrato di corsa urlando di trovare riparo sotto i banchi perché c’era gente armata che si aggirava dentro la scuola: dieci minuti dopo, Harris e Klebold entrano nella biblioteca e iniziano a sparare metodicamente a chiunque avesse cercato di trovare riparo. Corey DePooter, il suo miglior amico, muore sul colpo: i proiettili colpiscono anche Austin ad una mano e un ginocchio, ma per quegli strani disegni del destino, non lo uccidono.
Una fortuna che Austin paga a caro prezzo: i farmaci per combattere i dolori si trasformano presto in tossicodipendenza, “più per tenere a bada il dolore che provavo dentro di quello fisico”, aveva dichiarato tempo dopo.
Per dodici lunghi anni, Austin ha lottato contro le droghe e i fantasmi che da quel giorno gli toglievano il sonno: vincere non era stato facile, era entrato e uscito più volte da centri di recupero, fin quando ha trovato la forza giusta. A 25 anni si sposa, ma divorzia quattro anni e due figli dopo. Sapeva di dover essere un esempio per il suo Paese, e ha fatto di tutto per onorare la memoria degli amici che ha perso quel giorno e raccontare ogni volta da capo la sua esperienza terrificante sperando che servisse a salvare altre vite: girava senza sosta per le scuole degli Stati Uniti, raccontava delle armi, del suo amico, del sangue, della paura, della morte che i ragazzini dovrebbe lasciarli stare, per legge. Ma non è così.
Era stato un membro del consiglio di amministrazione di diverse organizzazioni senza scopo di lucro e il direttore operativo della “NorthStar Transitions”. Non si fermava mai, sapeva di non poterselo permettere: l’ultima volta aveva parlato il 2 maggio scorso alla “Connecticut Opioid and Prescription Drug Prevention Conference”.
Ha resistito come poteva per vent’anni, ma qualche ora fa ha scelto di consegnarsi nelle mani del destino che nel 1999 l’aveva graziato: Austin Eubanks è stato trovato morto nella sua abitazione di Styeamboat Springs, in Colorado. Aveva 37 anni.
Mentre la polizia ha annunciato l’apertura di un’inchiesta, anche se al momento l’ipotesi più probabile sembra essere quella del suicidio, la famiglia ha diffuso un breve commento: “Ha perso la battaglia della malattia che ha combattuto duramente, insegnando agli altri come affrontarla”.