“Correrò per la presidenza, per sconfiggere Trump e ricostruire l’America. Non possiamo permetterci altri quattro anni di politica scellerata”: sono le poche parole con cui Michael Bloomberg ha ufficializzato la sua decisione di candidarsi nelle file dei Democratici lanciando la sfida a Donald Trump. Dovrà vedersela con una frotta di candidati che non hanno alcuna voglia di mollare, fra cui Joe Biden, Elizabeth Warren e Pete Buttigieg, ma secondo le prime analisi potrebbe non avere rivali.
È la prima volta, nella storia degli Stati Uniti d’America, che due uomini inseriti nella classifica “Forbes” riservata ai più ricchi del pianeta, si scontrano per occupare la poltrona presidenziale. Una sfida epocale, con montagne di soldi destinati a supportare le rispettive campagne, da poter risollevare il debito pubblico di qualsiasi paese al mondo.
Una decisione che era nell’aria, malgrado lo stesso Bloomberg all’inizio di quest’anno avesse negato ogni pensiero verso una propria candidatura. Pare che a fargli cambiare idea sia stata la consapevolezza che nessuno dei candidati attuali avesse la forza di battere davvero Donald. Così, Michael ha rotto gli indugi e il salvadanaio, tirando fuori 37 milioni di dollari destinati a finanziare pubblicità televisive su 100 canali, soltanto per coprire le prossime due settimane, il resto arriverà a breve. Più di quanto l’intero parterre dei candidati Dem abbia speso finora.
Imprenditore e filantropo, 77 anni, figlio di un contabile di Boston, piccolo genio dei numeri fin dai tempi della scuola, Michael Bloomberg ha fatto fortuna creando una tecnologia che i banchieri e finanziari utilizzano per accedere ai dati di mercato. Dopo aver costruito un’attività di informazione finanziaria di successo, si è rivolto alla politica. Nel 2001 ha lanciato ufficialmente la propria candidatura per diventare sindaco di New York nelle file dei repubblicani, spuntandola malgrado la Grande Mela abbia una tradizione prevalentemente democratica. Poi ha scelto di cambiare schieramento diventando indipendente, passaggio che ha anticipato l’ingresso nei Dem lo scorso anno.
A causa del suo ingresso a scoppio ritardato nella corsa alle presidenziali, lo staff ha comunicato che Bloomberg non parteciperà alle prime quattro consultazioni previste in Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina. Preferisce puntare su una strategia non convenzionale che si concentra soprattutto sugli stati delle primarie del 3 marzo, quelli del “Super Martedì”. È una strategia che non ha mai avuto successo nella politica presidenziale democratica, ma c’è sempre una prima volta.
Il suo programma, semplice e lineare, include le voci che stanno più a cuore all’elettorato Democratico, come la difesa delle industrie e del lavoro, la lotta al cambiamento climatico e la drastica riduzione delle armi da fuoco. Ha speso più di 100 milioni di dollari per aiutare il partito ad assumere il controllo della Camera durante le elezioni di medio termine del 2018 e, più recentemente, ha contribuito a importanti tornate elettorali in Virginia. Ma adesso si trova di fronte a diverse sfide, compreso contrastare la semina già in corso di candidati progressisti come Bernie Sanders del Vermont ed Elizabeth Warren del Massachusetts, ambedue lesti a fargli capire l’aria che tira: “I miliardari non dovrebbero essere in grado di comprarsi le elezioni”.