Secondo una stima della CNN, dopo le presidenziali del 2016, il numero di cittadini di origine russa presenti in America sospettati di spionaggio ammontava a 150. Un numero addirittura ridotto da Barack Obama con l’espulsione di 35 diplomatici.
Eppure c’è un aspetto di cui le cronache internazionali si occupano poco, e riguarda una strana moria di dignitari russi sul suolo americano. Difficile, con i pochi dati diffusi, capire se si tratti di una purga interna, messa in pratica dalla stessa potenza russa, o dai servizi segreti americani.
Ma è comunque una storia inquietante che idealmente può iniziare dal nome di Mikhail Lesin, 59 anni, fondatore di “Russia Today” e capo della sicurezza del consolato, ritrovato morto al “Dupont Circle Hotel” di Washington nell’ottobre del 2015. Una morte liquidata come “incidentale” malgrado il referto medico parlasse di lividi e colpi rinvenuti su tutto il corpo. Lesin, che nel 2012 era finito in disgrazia al Cremlino, muore un giorno prima di un colloqui fissato con le autorità a Washington. Le indagini dell’FBI, a tre anni di distanza, hanno appurato che Mikhail Lesin fu probabilmente strangolato.
Curiosa e tempestivamente precisa anche la morte di Sergei Krivov, 63 anni, che l’8 novembre 2016 - giorno dell’elezione di Trump - è vittima di una rovinosa caduta dal tetto del consolato russo di New York. Secondo i servizi segreti americani, Krivov sarebbe stato il passpartout per capire la rete spionistica negli States. Resta il dubbio di cosa ci facesse sul tetto un alto funzionario come lui.
Per finire con Vitali Tchourkine, 64 anni, ambasciatore russo all’Onu, ritrovato in coma all’interno del suo ufficio: portato d’urgenza all’ospedale, è morto per una crisi cardiaca.