Di Marco Belletti
Quando nel cuore degli anni Cinquanta (in piena guerra fredda) la Democrazia Cristiana vinceva le elezioni con maggioranze “imbarazzanti” – che lasciavano poco spazio sia alla sinistra comunista, spauracchio di tutti i cattolici, sia alla destra ex fascista, ancora completamente da riorganizzare – esisteva in Italia una piccola “repubblica rossa”.Si trattava di una vera repubblica, non dell’Emilia Romagna raccontata da Guareschi nella populistica contrapposizione tra sinistra e destra rappresentate dalle iconiche figure di Peppone e Don Camillo: certamente piccola (61 chilometri quadrati per 12 mila abitanti nel 1947) ma era uno stato dalla storia prestigiosa: San Marino.
Indipendente dal 300 dopo Cristo, San Marino è la repubblica più antica del mondo in quanto questo tipo di governo regge la nazione dal 900, oltre mille anni fa. Alle elezioni del 1945 la coalizione formata dal Partito Comunista Sammarinese (PCS) e dal Partito Socialista Sammarinese (PSS) vinse con il 65 per cento dei voti contro gli avversari democristiani. Socialisti e comunisti insieme proseguirono a governare la piccola repubblica, una vera e propria anomalia nel contesto della guerra fredda, tollerata dalle nazioni europee soltanto a causa dello scarso peso politico di San Marino nello scenario internazionale.
Il governo sanmarinese si distingueva per le moderne politiche sociali attuate, per le fitte relazioni diplomatiche e di cooperazione instaurate con l’Unione Sovietica e per i numerosi momenti di tensione di politica internazionale, soprattutto con l’Italia. Per esempio, tra il 1954 e il 1955 – nell’anno e mezzo di governo del democristiano Mario Scelba, marcatamente conservatore – la nostra nazione impose controlli di polizia e doganali ai confini con San Marino, in modo da forzare la chiusura del casinò del Titano per bloccare economicamente la piccola enclave, troppo spiccatamente di sinistra.
La pressione nei confronti del governo sammarinese raggiunse l’apice quando il Partito Comunista locale propose una netta virata verso una struttura socio-economica più “sovietica” della piccola nazione che fino ad allora, pur essendo guidata da un governo socialista-comunista, aveva mantenuto una struttura da Paese capitalista. Nel 1956 il programma di trasformazione radicale della società proposto dal Partito Comunista comprendeva la stesura di una Costituzione (San Marino ancora oggi ne è priva), il rinnovamento degli organi statali, uno sviluppo dell’economia in senso collettivistico e rapporti sempre più stretti con l’Unione Sovietica.
Risalgono ad allora le sempre più evidenti pressioni dei Paesi occidentali che si trasformarono in vere e proprie ingerenze nel governo della repubblica sanmarinese, tanto da far nascere nel 1957 il nuovo Partito Socialista Indipendente Sammarinese (PSIS), una fazione contraria all’alleanza dei socialisti tradizionali con il Partito Comunista.
La repubblica parlamentare di San Marino era guidata – allora come oggi – da un parlamento chiamato Consiglio Grande e Generale, composto da 60 persone, mentre a capo dello Stato vi era la Reggenza, formata da due Capitani eletti dal parlamento, che presiedevano governo e Consiglio.
Nel 1956 socialisti e comunisti governavano con una maggioranza di 35 consiglieri su 60, ma la scissione pilotata dal capitalismo occidentale e che portò alla nascita del PSIS con 5 consiglieri, ristabilì una totale parità (30 a 30) tra i due schieramenti in Consiglio.
Il 18 settembre 1957 – il giorno prima della scelta della nuova Reggenza – il consigliere Attilio Giannini, indipendente nella lista comunista, fu corrotto e divenne l’ago della bilancia della crisi di governo, trentunesimo consigliere per la maggioranza democristiana. All’evidente caso di corruzione di Giannini, i consiglieri del blocco socialista e comunista si dimisero in massa e così la Reggenza fu costretta a sciogliere il Consiglio, fissando il 3 novembre come data per le elezioni.
I democristiani rivendicarono immediatamente la guida del Paese e la sera del 30 settembre tutti i 31 consiglieri occuparono uno stabilimento industriale in disuso a Rovereta, frazione al confine con l’Italia: con un vero e proprio colpo di stato autoproclamarono un governo provvisorio, infrangendo così la legalità costituzionale della nazione. I Carabinieri italiani circondarono lo stabilimento per proteggere gli occupanti e il nostro governo democristiano riconobbe immediatamente la legittimità del sedicente governo provvisorio sammarinese.
Entrambi i governi (quello legittimo del “palazzo” e quello provvisorio dello “stabilimento”) organizzarono delle milizie: da un lato nacque un gruppo di volontari per difendere il governo legittimo, dall’altro si fece appello a tutti i vari corpi militari e della gendarmeria per ribellarsi alla Reggenza. Per senza arrivare a un vero scontro armato, il 14 ottobre il governo del Palazzo dichiarò di cedere alla sopraffazione e il governo provvisorio – con l’esplicito appoggio di Stati Uniti e Italia – lasciò Rovereta e s’insediò nel palazzo diventando il nuovo governo ufficiale di San Marino, da allora strettamente legato al blocco occidentale.
Un ruolo sicuramente importante in questo poco conosciuto colpo di stato nel cuore dell’Italia, fu interpretato dalla CIA ma ancora di più dal Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), come si chiamava allora l’ente di servizio segreto del nostro Paese. In quegli anni in Italia circolava la voce – non si sa quanto in modo ingannevole messa in circolazione – dell’incombente minaccia di intervento militare straniero con un sempre più fitto substrato clandestino di organizzazioni come Gladio, pronte a dare vita a un colpo di stato reazionario se fosse salito al potere il Partito Comunista. E la presenza del potenziale nemico al governo di San Marino – benché nazione piccola e dal poco peso politico internazionale – sembrava essere una minaccia imminente.
Il caso del golpe consumato all’ombra del monte Titano è la dimostrazione che una società capitalista come quella statunitense di allora non voleva neppure tollerare che una nazione nell’orbita NATO potesse liberamente seguire la via del socialismo, anche non estremista e anche di dimensioni ridotte come quelle di San Marino. E che l’Italia di allora era quanto mai legata e succube delle decisioni e delle interferenze degli USA in Europa.
Dopo essere stato quasi del tutto dimenticato, il colpo di stato a San Marino del 1957 fu chiamato in causa nell’ambito della cultura di sinistra nella seconda metà degli anni Settanta, quando fu paragonato – pur con le dovute proporzioni – al sanguinoso golpe in Cile di Pinochet che nel 1973, apertamente sostenuto dalla CIA e dagli Stati Uniti, rovesciò il governo di Salvador Allende. E se il colpo di stato “romagnolo” non divenne cruento come quello sudamericano fu probabilmente dovuto solo alla infinitamente minore rilevanza degli interessi in gioco.