Di Germano Longo
Il 28 giugno di quell'anno, New York era stata messa a ferro e fuoco dalla rivolta di Stonewall: da una parte gruppi di omosessuali, dall’altra la polizia, in mezzo diritti civili che ancora oggi, 50 anni dopo, faticano ad arrivare. Diciassette giorni prima, Brian Jones, uno dei fondatori dei “Rolling Stones” era stato ritrovato morto sul fondo della piscina della sua villa nel Sussex: overdose. Aveva 27 anni, la massima età possibile per tante stelle dannate della musica. Il 9 agosto, una manciata di giorni dopo, al 10050 di Cielo Drive, a Los Angeles, Sharon Tate e tre suoi amici saranno fatti a pezzi da “The Family”, l’esercito di folli e drogati agli ordini di Charles Manson.Ma nulla, da quell’anno e per sempre, ha mai potuto competere con il giorno in cui è nata la Luna: il 20 luglio del 1969. Fino ad allora, quella palla bianca che dà il cambio al sole era stata l’epicentro di credenze, leggende e mitologie, qualcosa di irraggiungibile, capace di ispirare musicisti, artisti, poeti e contadini, di far battere i cuori agli innamorati e costringere i lupi a ululare, di decidere le maree e dire quando è ora di imbottigliare il vino nuovo, di far nascere i bambini e di una fantascienza che aveva proprio lei, la Luna, come massima espressione dello spazio: oltre quello non c’era niente, forse Dio.
Quella del 20 luglio 1969, celebrata in ogni angolo del pianeta, è forse l’impresa più memorabile ideata dalla sapienza umana, la scintilla primordiale che quando si mescola all’incoscienza diventa il motivo esatto per cui l’umanità ha saputo crescere, passando dalle caverne ai grattacieli con ascensore. La tecnologia di allora, gli strumenti fantascientifici che il mondo invidiava alla “Mission Control Room” di Cape Canaveral, oggi fanno sorridere: perfino l’ultimo sfigato che abita in un villaggio senza luce e acqua corrente del terzo mondo ha in tasca un cellulare infinitamente più potente e veloce.
Prima di quella notte ci avevano provato per 135 volte, ad avvicinarsi alla Luna, dal 1958 in poi: in ordine sparso americani, russi, cinesi, giapponesi, europei, indiani, israeliani. Ma i 384mila km, da calcolare al doppio - sperando che tutti tornassero a casa - non erano impresa facile, per un mondo che viaggiava lento, a passi lunghi e ben distesi, perché di soldi ne giravano pochi. In Italia in quel 1969 circolavano un milione di autovetture: un operaio guadagnava 120mila lire al mese, e per un quotidiano, un biglietto del bus e un caffè servivano 70 lire, 150 per un litro di latte, 170 per uno di benzina: altro che Luna. Quasi nessuno aveva il televisore a casa: si andava nei bar e nei circoli che quella notte, guidati dalla voce di Tito Stagno, raccontavano al massimo del volume che un uomo stava camminando sulla Luna. A tratti uscivano tutti dai locali per guardare all’insù, verso la Luna, come se fosse stato possibile vederli davvero, quei due americani con le tute enormi.
Erano le 02:56 ora americana: era sceso per primo Neil Armstrong, meno di 20 minuti dopo l'aveva raggiunto Buzz Aldrin. Si fermano per due ore, raccolgono 21,5 kg di materiale lunare, poi ripartono, diventando leggende. Si è sempre parlato di loro due, quasi mai di Michael Collins, il terzo dell’Apollo 11, quello rimasto a bordo, l’unico che è forse più facile sentire simile a tutti quelli che nella vita ci provano, arrivano ad un passo ma non ci riescono: si era preparato per mesi come gli altri due, ed è arrivato ad un passo, ma non è sceso. La Luna per lui è rimasta la stessa dei tre miliardi e 698 milioni che allora abitavano il pianeta Terra, solo un po’ più vicina.
C’è ancora chi non ci crede, alla notte in cui è nata la Luna. Convinto sia una montatura hollywoodiana, per dare una mazzata all’orgoglio dei russi: sono gli stessi per cui le Torri Gemelle siano state fatte crollare per un piano preciso del governo americano, che Elvis è vivo e prepara cocktail fantastici su una spiaggia sperduta, che dalle fogne di New York escano coccodrilli e pitoni.
E allora, se proprio bisogna metterla così, in fondo non è neanche così importante che Armstrong e Aldrin ci siano andati davvero, sulla Luna. L’importante, quella notte di mezzo secolo fa, è stato fantasticare, immaginare, guardare avanti, stracciare i confini, sentirsi piccoli e immensi insieme, ma soprattutto dimostrare alla storia di noi stessi che ancora eravamo capaci di stupirci e sognare. Proprio quello che cinquant'anni dopo non sappiamo più fare.