Lo storico bizantino Procopio nacque intorno al 490 a Cesarea marittima, all’epoca capitale della Giudea, e divenne famoso principalmente per “Storia delle guerre”, un’opera in otto libri che scrisse tra il 551 e il 553. Scritta in greco, racconta il regno dell’imperatore bizantino Giustiniano I, le sue guerre contro Vandali, Persiani e Ostrogoti, oltre alla vita politica a Costantinopoli. Procopio fu uno storico militare e politico fondamentalmente pagano e la sua opera riscoperta solo nel Rinascimento. Oltre alle guerre e agli intrighi di corte, raccontò anche un evento che sconvolse il mondo in quegli anni, la cosiddetta peste giustiniana.
“A Bisanzio non era facile veder girare qualcuno per le strade, perché tutti coloro che avevano la fortuna di essere in salute rimanevano chiusi in casa, a curare i malati o piangere i morti. Tutte le attività degli artigiani erano ferme, e così accadeva di ogni altra specie di lavoro che ciascuno avesse per le mani. Di conseguenza, in quella città che era stata veramente sovrabbondante di ogni genere di beni, si era diffusa una spaventosa carestia”, (Guerre 2, 23).
Procopio raccontò l’epidemia pensando fosse causata dalla collera divina senza sapere che – abbattendosi sull’Europa in successive ondate nell’arco di un paio di secoli – avrebbe modificato il destino dell’Europa sui piani demografico e politico.
La peste di Giustiniano non fu la prima che devastò l’area intorno al Mediterraneo. La più antica pandemia di cui si ha certezza storica risale al 165-180 e fu raccontata dal medico Galeno. È stata chiamata peste antonina dal patronimico dell’imperatore dell’epoca, Marco Aurelio Antonino. Fu un’epidemia di vaiolo, morbillo o meno probabilmente tifo, diffusa nel cuore dell’impero romano dai soldati di ritorno dalle campagne militari contro i Parti.
La seconda pandemia storica nel nostro continente risale agli anni tra il 249 e il 262 ed è chiamata peste di Cipriano, dal santo vescovo di Cartagine, scrittore paleocristiano che fu testimone della malattia e la descrisse. Si pensa che la pandemia abbia indebolito fortemente l’impero con danni quasi irreparabili per l’agricoltura e con l’esercito pressoché decimato. Come per la peste antonina, non si conosce la causa scatenante, si sospetta vaiolo, influenza o febbre emorragica virale.
Lo storico William Hardy McNeill afferma che entrambe le pandemie furono i primi salti di specie all’umanità da ospiti animali di due diverse malattie, vaiolo e morbillo. Lo studioso Dionysios Stathakopoulos afferma che entrambi i focolai erano di vaiolo. Per un altro storico, Kyle Harper, i sintomi attribuiti dalle fonti contemporanee alla peste di Cipriano corrispondono a una malattia virale causa di febbre emorragica come l’ebola, piuttosto che il morbillo. Al contrario, sostiene che la peste antonina fu causata dal vaiolo.
Gli esperti sono quindi concordi nell’affermare che la prima epidemia storicamente provata di peste bubbonica fu quella di Giustiniano che nell’apice del contagio uccideva (sempre secondo Procopio da Cesarea) oltre 10 mila persone al giorno a Bisanzio. Fu causata dallo yersinia pestis, lo stesso batterio che sterminò l’Europa nel XIV secolo con la cosiddetta peste nera, quando morì forse più la metà della popolazione del continente.
Oltre alle devastanti conseguenze demografiche, la peste nera ebbe un forte impatto sulla società dell’epoca. La popolazione alla ricerca di un colpevole per il contagio iniziò persecuzioni e uccisioni, alcuni attribuirono la pandemia alla volontà di Dio e crearono movimenti religiosi, come quello dei flagellanti. Anche la cultura fu influenzata, basti pensare che una delle più importanti opere dell’epoca fu il “Decameron” di Giovanni Boccaccio, che narra le storie di giovani fiorentini fuggiti dalla città. Terminata la grande epidemia tra il 1346 e il 1350, la peste continuò a mietere vittime con minor intensità nei secoli successivi.
Anche altri parti del mondo furono colpite. Per esempio, nell’area musulmana a partire dall’Egira sono citate cinque pestilenze: quelle di Shirawayh (627-628), di 'Amwas (638-639), la peste violenta (688-689) e quelle delle vergini (706) e dei notabili (716-717).
Oltre a sterminare la popolazione, tutte queste pandemie modificarono sensibilmente la vita quotidiana della popolazione con cambiamenti nell’economia, nella geopolitica e nella religione.
Recenti studi hanno dimostrato che è stato lo stesso agente patogeno ma appartenente a ceppi diversi e ora estinti a provocare le pesti di Giustiniano e quella nera, che potrebbero aver avuto origine rispettivamente dal grano proveniente dall’Africa o dalle merci in arrivo da Cina e Mongolia. Grazie a questi commerci, i parassiti trasportati dai ratti sarebbero arrivati in Europa e contagiato anche gli uomini.
La situazione odierna è completamente diversa, per il livello d’igiene, per le competenze mediche e per il fatto che il coronavirus non è la peste bubbonica. Tuttavia, alcuni studiosi affermano che i topi affamati per la carenza di cibo durante l’attuale pandemia si stanno trasformando in cannibali per sopravvivere. Ciò potrebbe generare in futuro una razza più intelligente e aggressiva. Buona parte dei ratti in città di solito si nutrono dei rifiuti, soprattutto di alberghi e ristoranti che ora sono chiusi e quindi i topi sono alla ricerca di nuove fonti alimentari. Come prima conseguenza la popolazione si ridurrà di numero e limiterà la riproduzione, si nutriranno dei propri simili e quando la situazione tornerà alla normalità i sopravvissuti saranno più forti, resistenti e intelligenti. E siccome il periodo di gravidanza è molto breve (23 giorni) se dovesse arrivare una seconda ondata della pandemia di coronavirus l’umanità si troverebbe ad affrontare un nemico in più. I topi – che sembra non contraggano la COVID-19 – potrebbero trasmettere agli uomini altre malattie, tra cui infezioni batteriche e parassitarie. Un virus che infetta un ratto potrebbe mutare rapidamente all’interno del corpo del suo ospite e trasformarsi in un patogeno più virulento. È sufficiente il morso di un topo infetto a un abitante delle tante favelas o aree urbane indigenti per scatenare una nuova pandemia che andrebbe ad aggiungersi a quella del coronavirus.