Il 27 ottobre 2002, i medici dell’ambulanza chiamata dal “Carmel Country Club”, esclusivo quartiere di Buenos Aires, certificano la morte di María Marta Garcia Belsunce, nota sociologa argentina.
Il referto medico, seguendo quanto raccontato dalla famiglia, accerta un caso di incidente domestico: la vittima è scivolata nella vasca da bagno ed è annegata dopo aver perso i sensi sbattendo violentemente la testa contro il rubinetto.
Ma ad un mese dai funerali del 28 ottobre 2002, alcune intercettazioni mettono in moto la giustizia, secondo cui qualcosa non torna: gli inquirenti ordinano l’autopsia e i medici legali scoprono che le profonde fratture al cranio sono state causate da cinque colpi di un’arma calibro 32. Inizialmente, i medici avevano notato una sola ferita compatibile con un colpo contro il rubinetto metallico, ma è solo aprendo il cranio che scoprono all’interno i cinque proiettili.
Il delitto prende una piega diversa diventando uno dei casi più seguiti dall’opinione pubblica argentina, anche perché avvenuto all’interno di un’enclave ricchissima ed esclusiva.
María Marta García Belsunce, classe 1952, figlia di un noto noto giurista, malgrado avesse ereditato la fortuna di famiglia, aveva scelto di dedicare al sociale buona parte della sua carriera, lavorando per organizzazioni no profit come “Red Social”. Fino al giorno della morte è stata vicepresidente della “Missin Children Argentina”, organizzazione che si occupa del traffico di minori nella provincia di Buenos Aires, ricevendo più volte minacce di morte. Nel 1971, a 19 anni, aveva sposato Carlos Carrascosa, ma la coppia non ha mai avuto figli.
I risultati dell’autopsia accendono i riflettori sulla cerchia familiare e su personaggi che avrebbero avuto interesse a sbarazzarsi di Maria: il marito Carlos, il fratello Horacio, il cognato Gulliermo, il patrigno Costantino Hurtig e il fratellastro Juan.
Il 12 novembre, il fratellastro Juan si presenta spontaneamente alla procura e dichiara di aver gettato nel gabinetto uno strano oggetto che aveva attirato la sua attenzione e che aveva definito “pituto”, un sassolino. In realtà si trattava del sesto proiettile esploso, che aveva sfiorato la vittima, come accerta qualche giorno dopo il recupero dal pozzo nero della casa.
L’11 dicembre il caso diventa di dominio pubblico e prende il via la giostra delle ipotesi sul presunto assassino, da cui emerge la figura di Nicolás Pachelo, un vicino di casa con numerosi precedenti penali. Pachelo afferma che al momento del delitto si trovava in un centro commerciale in compagnia della madre, ma la polizia fa in fretta a smentirlo: qualcuno lo aveva visto aggirarsi per il country club, che avrebbe lasciato solo nelle ore successive al delitto.
Il 16 gennaio, il procuratore Molina Pico accusa di depistaggio il fratello, il marito, il cognato, il patrigno, il fratellastro, la massaggiatrice Beatriz Michelini, il vicino Sergio Binello e il medico Gauvry Gordon. Il 16 febbraio successivo, il PM presenta la richiesta di rinvio a giudizio per Carlos Carrascosa, marito della vittima, che viene arrestato il 22 aprile. L’11 luglio 2007, il Tribunale di San Isidro assolve Carrascosa dall’accusa di omicidio, ma lo ha condanna per occultamento e inquinamento delle prove. Una sentenza ribaltata il 18 giugno 2009, quando la Corte Penale di Cassazione di Buenos Aires condanna Carlos Carrascosa all’ergastolo per l’omicidio della moglie María Marta García Belsunce.
Sembra finita, ma non è così: l’8 febbraio 2010 Carlos Carrascosa cita in giudizio lo Stato argentino davanti alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani per non aver ricevuto un giusto processo, mentre poche settimane dopo la procura chiede l’arresto di Irene Hurtig, sorellastra della vittima, per favoreggiamento e occultamento delle prove.
Nel processo di appello del 19 settembre 2011, la procuratrice Laura Zyseskind chiede alla corte sei anni di reclusione per Guillermo Bártoli, Horacio García Belsunce e Juan Gauvry Gordon. Per Sergio Binello, la pena richiesta è di quattro anni e mezzo di carcere, mentre per Beatriz Michelini si chiede l’assoluzione. La sentenza condanna Guillermo Bártoli a 5 anni di reclusione, Horacio García Belsunce a 4 anni, 3 anni e 6 mesi per Juan Hurtig, e ancora 3 per Juan Gauvry Gordon e Sergio Binello.
Il 10 settembre 2012 la Corte Suprema di Giustizia della Provincia di Buenos Aires conferma la condanna a vita di Carlos Carrascosa, ma nel dicembre 2016, la Corte Suprema di Giustizia della Provincia di Buenos Aires lo assolve definitivamente a 14 anni dall’omicidio di Garcia Belsunce.
Un caso emblematico che ha fatto tremare l’alta borghesia argentina, tutt’ora senza colpevoli, che ancora oggi fa discutere e divide in due l’opinione pubblica del Paese sudamericano, diventato un docu-film che a breve sarà trasmesso sulla piattaforma “Netflix”.