Pochi leader mondiali hanno generato contemporaneamente tante critiche e lodi sperticate per la gestione della pandemia come Nayib Bukele, presidente di El Salvador. In carica da meno di un anno, lo scorso marzo Bukele ha deciso di chiudere i confini del suo Paese ancor prima che El Salvador segnalasse un solo caso di coronavirus, sostenendo che la piccola repubblica doveva anticipare l’epidemia. Secondo la "Johns Hopkins University", potrebbe non aver avuto torto: nel Paese ci sono stati 1.571 casi confermati, con appena 31 decessi.
Alcuni salvadoregni lo lodano per l’azione decisa, che potrebbe aver salvato il Paese dai peggiori effetti del Covid-19, mentre secondo altri sono schiari esercizi di potere di un uomo che sta ripetutamente violando la costituzione del suo Paese.
Il fatto che Bukele, 38 anni, sia in carica è stata una sorpresa: è il primo presidente dalla fine della guerra civile del 1992 a non appartenere a nessuno dei due principali partiti politici del Paese. I nonni paterni erano immigrati palestinesi e si è candidato alla presidenza descrivendosi come un esperto di social media che ama i giubbotti da motociclista, un outsider millenials che prometteva di scuotere una nazione logorata da una corruzione senza fine e dalla violenza fra gang.
“Bukele è molto concentrato sull’ottenere ciò che ritiene necessario e ha poca pazienza verso chi lo critica o per le istituzioni che si oppongono, rallentano o limitano la sua capacità di agire - ha commentato Geoff Thale, presidente dell’Ufficio di Washington per l’America Latina - usa i social per attaccare i suoi oppositori, compresi i giornalisti, e ha scontri continui e molto accessi con l’Assemblea Nazionale, dominata dai due partiti politici tradizionali che gli sono ostili”.
Con quasi due milioni di follower e sondaggi su Twitter che spesso mostrano un indice di gradimento superiore al 90%, Bukele ha rotto gli schemi tradizionali dei politici del suo Paese e attirato l’attenzione internazionale. Nel 2019, dopo la morte per annegamento di un uomo con la figlia di due anni nelle acque del Rio Grande, ha riconosciuto che El Salvador doveva assumersi la responsabilità delle condizioni che hanno causato la fuga di migliaia di migranti.
Ma prima dello scoppio del coronavirus, alcuni critici temevano che lo stile dirompente di Bukele potesse erodere sempre più la separazione dei poteri e minacciare la fragile democrazia del Paese. A febbraio, mentre Bukele chiedeva di approvare la richiesta di prestito di 109 milioni di dollari per equipaggiare meglio polizia e militari, truppe armate hanno marciato verso l’Assemblea Nazionale dietro suoi ordini, e molti in El Salvador hanno visto un palese tentativo di intimidazione e un ritorno all’epoca in cui la violenza politica dominava il Paese.
L’Assemblea nazionale ha respinto la campagna di pressione e l’incidente ha danneggiato l'immagine di Bukele all’estero, anche se l’amministrazione Trump, che considera Bukele un alleato, non ha condannato apertamente l’episodio.
Lo scorso marzo, il timore della pandemia ha offerto a Bukele un’altra opportunità per mostrare coraggio e decisione, o per acquisire più potere, secondo qualcuno. Dopo aver chiuso le frontiere, ha messo in atto severe misure di quarantena, ma ha anche destinato cibo e denaro ai salvadoregni impoveriti. Ha ordinato ai militari di arrestare chi violava le misure, inviando migliaia di persone nei “centri di quarantena” individuati dal governo.
Quando la Corte suprema ha dichiarato incostituzionali gli arresti e gli ha ordinato di fermarsi, Bukele si è rifiutato e i soldati sono rimasti per strada. “Cinque persone non decideranno la morte di centinaia di migliaia di salvadoregni - ha scritto su Twitter - una cosa è interpretare la costituzione, un’altra ordinare la morte del popolo”.
Dopo un picco di scontri fra bande, Bukele ha autorizzato polizia ed esercito a “rispondere come meglio ritenevano opportuno”, e il suo governo ha rilasciato le foto scattate in prigione che mostrano decine di membri di bande a torso nudo, costretti alla vicinanza malgrado i pericoli di diffusione del virus. “Ho pensato che fosse una sorta di slogan per sottolineare dove sta il potere - ha detto Will, un ex membro della potente gang “Barrio 18”, diventato una sorta di predicatore che tenta di sensibilizzare le gang attraverso una chiesa locale - il governo non sa come identificare la radice del problema e continua a sparare su tutto ciò che si muove. Alcuni dicono che stiamo perdendo la nostra democrazia, ma ad essere onesti sembra che Bukele stia pensando alla gente e che finora abbia fatto cose che non sono mai state fatte in passato, specialmente per le classi a basso reddito”.
La battaglia su chi ha il potere, giocata sulla durata del lockdown, probabilmente andrà avanti in parallelo con il perdurare della malattia. Bukele pretende che il Paese inizi a riaprire il 6 giugno, ma l’Assemblea nazionale replica che la data dev’essere anticipata. Si è messa di mezzo la Corte Suprema, che ha ricordato a Bukele di avere alcuna autorità per estendere le misure anti-coronavirus, ma il premier ha giurato che qualsiasi tentativo di riaprire prima del 6 giugno non passerà mai. “Vogliono far passare una legge che potrebbe infettare in modo massiccio la popolazione salvadoregna, ma grazie a Dio, posso impedirlo”.