Si tinge di giallo la morte di Daniela Carrasco, un’artista di strada nota come “La Mimo” diventata una dei simboli della protesta, trovata impiccata in un parco alla periferia di Santiago del Cile il 20 ottobre scorso, ma i cui i risultati dell’autopsia sono stati consegnati alla famiglia soltanto il 20 novembre, un mese dopo, accompagnati da una dichiarazione della polizia che a chiusura della indagini si dice indirizzata ad archiviare il caso come suicidio.
Una tesi che non convince nessuno, a cominciare dagli attivisti di “Ni Una Menos”, convinti che La Mimo sia stata violentata, torturata e uccisa mentre era stata arrestata dai Carabineros, come monito alle donne che come lei sono scese in piazza nelle proteste contro il governo che infiammano il Cile da settimane. Un’ipotesi che il referto dell’autopsia esclude, parlando di una mote “per soffocamento da impiccagione”, e sul suo corpo “sarebbero state lesioni fisiche attribuibili a violenze sessuali o fisiche”.
Ma che il clima sulle strade cilene sia ormai infuocato lo confermano le parole del presidente Sebastian Piñera che è stato costretto ad ammettere di “Uso eccessivo della forza da parte della polizia, con abusi e diritti non sempre rispettati”. Finora, i tentativi di reprimere le proteste hanno portato a 23 morti, 2.390 feriti e 6.300 arresti, di cui 760 ai danni di minori.