Di Marco Belletti
Se fosse vivo, Karl Popper oggi compirebbe 117 anni: in confronto a molti dei pensatori suoi contemporanei le idee del filosofo ed epistemologo austriaco naturalizzato britannico nato a Vienna il 28 luglio 1902, sono ancora quanto mai attuali e in grado di sollevare profonde riflessioni.Nominato baronetto dalla regina Elisabetta II nel 1965, Popper è anche considerato un filosofo politico difensore della democrazia e della libertà, avversario di ogni forma di totalitarismo ed è celebre per il concetto di “società aperta”. Per lui non esiste scienza che possa produrre conclusioni definitive, quindi la popolazione deve diffidare degli esperti che affermano di conoscere il destino della società e di possedere la “verità”. Secondo Popper nessuno conosce il futuro, non possono neppure gli scienziati, e la conoscenza scientifica è sempre fallibile.
Quindi, la conoscenza umana è congetturale e ipotetica, in quanto gli esseri umani tendono a risolvere i problemi quando li incontrano, quando cioè appare una contraddizione tra quanto previsto da una teoria e i fatti osservati. Pertanto, secondo Popper la contraddizione svolge un ruolo fondamentale per il progresso scientifico che non è stimolato dalla semplice osservazione empirica. Infatti, tutti gli esseri viventi partono da modelli mentali speculativi che guidano le esperienze, attraverso un processo continuo di tentativi ed errori.
Poco prima di morire – Popper si spense il 17 settembre 1994 a Londra – ritenendo che la società si stesse dirigendo verso un generale degrado etico e sociale a causa dell’aggressiva presenza dei media nella vita di tutti giorni (e non aveva avuto modo di conoscere i social!) il filosofo novantaduenne avanzò la proposta di “una patente per fare la televisione”. In questo modo sarebbe stato possibile preservare in ogni modo il carattere formativo di questo canale, molto importante per Popper. Nonostante la proposta fosse stata accolta positivamente, non ebbe in realtà alcun seguito pratico.
In effetti, è stato l’avvento delle cosiddette “televisioni commerciali” a rendere più veloce e inarrestabile il degrado: dovendosi sostenere con la sola raccolta pubblicitaria, le TV private hanno abbandonato la qualità e l’intento formativo delle trasmissioni per assecondare esclusivamente gli indici di ascolto. Dove presente, come per esempio in Italia, la televisione di stato è stata costretta a seguire quanto messo in pratica dalle reti commerciali, con un generale scadimento degli standard qualitativi. Popper spiegò il suo pensiero e la sua presa di posizione di dare vita alla patente nel saggio “Cattiva maestra televisione” pubblicato del 1994, descrivendola necessaria per difendere la libertà dei singoli e delle loro menti.
Il pensatore austriaco riteneva che la televisione agisse sull’inconscio del pubblico, imponendo stili di vita ed esempi da seguire, spingendo in questo modo gli ascoltatori – soprattutto i bambini, molto più facilmente influenzabili e non ancora in grado di distinguere la realtà dalla finzione televisiva – a subire l’opinione degli altri senza farsene una propria, aspetto molto importante secondo il credo filosofico di Popper per avere una società libera.
I programmi diseducativi sarebbero lo strumento principale per diffondere la violenza, provocando nella società “una perdita dei sentimenti normali del vivere in un mondo bene ordinato in cui il crimine sia una sensazione eccezionale”.
Anni prima il filosofo aveva avuto un’esperienza di lavoro con bambini con disturbi comportamentali causati da violenze domestiche e considerava pertanto assurdo permettere alla televisione di diffondere la violenza anche a chi non ne era stato direttamente coinvolto. Per Popper, la TV non solo ottenebra lo spirito critico, ma, anestetizzando la società, diventa uno strumento di controllo politico. “Credo – affermò nel suo saggio – che un nuovo Hitler con la televisione avrebbe un potere infinito”.
Popper spiega di non voler limitare la libertà con la sua patente, anzi di volerla preservare dal totalitarismo televisivo, molto più potente di quello radiofonico e cinematografico utilizzato con successo, per esempio, dai regimi nazista e fascista.
Oggi appare evidente che la televisione ha creato un nuovo modo di parlare basato sull’impoverimento della lingua, rendendola più semplice e uniforme: la struttura delle comunicazioni totalitarie è monotona, in quanto parla con un’unica voce, quella del regime. In questo modo si discende verso un calo dei significati da attribuire alle parole che così perdono il loro pluralismo concettuale. Viene pertanto a mancare la possibilità di esprimere in modi differenti un singolo concetto, chiaro segnale che testimonia la presenza di autonomia individuale.
Partendo dal fatto che inseguendo il consenso dell’audience è possibile solamente sacrificare la qualità delle trasmissioni – e a questo punto della lingua – Popper pensa alla patente come uno strumento per responsabilizzare i produttori televisivi e renderli consapevoli del ruolo di educatori che devono avere.
A testimonianza dell’attualità del pensiero di Popper, nel 2018 Ipsos Mori – società britannica di ricerche di mercato – ha pubblicato il resoconto di un’indagine realizzata in Europa da cui emerge che gli italiani sono il popolo più ignorante del continente. La notizia – divulgata da The Vision, la testata online che si indirizza i millennial – si riferisce soprattutto alla percezione dell’attualità. Sembra che la causa principale di questo nostro pessimo risultato sia proprio la cattiva informazione televisiva, in grado di distorcere la percezione della realtà con notizie false o quantomeno alterate, che il pubblico “assorbe” senza nessuna capacità critica.
In pratica: è ora di smettere di inseguire l’audience o davvero – consciamente o meno – la televisione giocherà a favore di un nuovo totalitarismo che ci priverà della libertà prima ancora che ce ne accorgiamo.