“Da quando Baggio non gioca più, non è più domenica”, cantava Cesare Cremonini qualche anno fa, interpretando al meglio la nostalgia verso il più grande campione mai nato in Italia, uno dei pochi invidiati in tutto il mondo. Lo chiamano ancora adesso, a 52 anni, il “Divin Codino”, per via dell’acconciatura solo sua, o “Raffaello”, perché sapeva rendere elegante anche il dare pedate ad un pallone. Nasce a Coldogno, nel vicentino, che diventa anche la sua prima squadra, poi parte: giovanili nel Lanerossi Vicenza, quindi Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Inter e Brescia. Si ritira il 16 maggio del 2004, dopo 205 reti in serie A e 27 con la maglia della Nazionale, dove gli resta il rammarico per il rigore fallito nella finale dei mondiali Usa 1994, nel catino del “Rose Bowl” di Pasadena, quando manda alle stelle un pallone che decreta la vittoria del Brasile.
Un antidivo che al contrario della vanità dei suoi colleghi, non ha mai amato i tappeti rossi e i flash: sposa la sua Andreina e mette al mondo tre figli. Ama la campagna, le sue origini contadine e la provincia, e non esita cambiare squadra ogni volta che ha da dire con un allenatore. Ci mette anche coraggio, dichiarandosi buddista quando parlare di certe cose era poco conveniente.
Ora, a 15 anni dal ritiro, arriva il primo omaggio su pellicola. Si intitola “Il Divin Codino” ed è la prima produzione nata dalla freschissima partnership fra il gruppo “Mediaset” e “Netflix”. Un biopic in piena regola che uscirà il prossimo anno e promette di raccontare gioie e dolori di Roby Baggio, diretto da Letizia Lamartire e interpretato da Andrea Arcangeli, giovane attore abruzzese che ha debuttato nel 2015 con “Tempo stabile con probabili schiarite”, diretto da Marco Pontecorvo.