Il quasi 66enne Cesare Battisti, in carcere ad Oristano dove sconta in una cella di massima sicurezza l’ergastolo per quattro omicidi finalmente ammessi, vorrebbe uscire (vivo) dal caceere. L’idea è di ottenere, non subito, l’accesso a misure alternative, data l’età e quello che si potrebbe definire - con l’ammissione delle sue colpe - una specie di pentimento. In una lettera scritta a uno dei suoi sostenitori più fervidi, l’ex guerrigliero del Pac, latitante per 37 anni e arrestato in Bolivia dopo una latitanza dorata in Brasile, racconta di sentirsi “piegato nel fisico e nel morale” e invoca clemenza dallo Stato. Le sue ragioni tecnico-giuridico le spiega bene il suo avvocato di di fiducia, Davide Steccanella, studioso e storico del terrorismo, in una recente intervista all’AGI. Uno dei temi sarebbe l’accordo con il Brasile che prevedeva la commutazione dell’ergastolo in una pena definita per ragioni costituzionali. Spiega il legale: “Il mio impegno è far sì che Cesare Battisti non muoia in carcere. Tu non puoi rimproverare di avere violato la legge se non sei il primo a rispettarla e uno Stato che non rispetta la legge perde autorevolezza anche nei confronti di chi la viola… La situazione di Battisti è molto particolare perché qui non soltanto si parla di fatti commessi 40 anni fa, ma anche di una persona che è andata via dall’Italia 40 anni fa, nel 1979 quando, dopo due anni di galera, è stato fatto evadere da altri, è andato all’estero e non ha più fatto rientro nel nostro Paese. Ora, chiunque abbia potuto vivere in Italia negli ultimi 40 anni sa che questo è un Paese completamente diverso. C’è questo duplice problema: sono vecchi i fatti ed è vecchissimo questo rapporto con lo Stato che in questo momento sta eseguendo nei suoi confronti una pena”.
L’avvocato Steccanella respinge anche le ipotesi che dietro alle fortunose fughe nel corso dei decenni ci sia lo zampino dei Servizi di qualche paese occidentale, vedi la Francia. Fatto che Battisti nega da sempre con forza. Semmai parla di solidarietà internazionale tra “compagni della stessa fede” che lo avrebbe sostenuto e protetto. “Da quello che ho capito io, mi pare assolutamente compatibile la sua versione. Ai tempi anche prendere gli aerei non era così complicato come oggi, è pieno di casi, non sarebbe né il primo né l’ultimo ad averlo fatto in quegli anni, non è necessario che ci sia dietro chissà quale protezione francese. Tra l'altro con la Francia lui ha un rapporto particolare perché è stato per tanti anni al riparo della cosiddetta 'dottrina Mitterand' che poi è saltata praticamente per lui perché sono pochissimi i casi contrari. Non credo francamente che abbia avuto protezioni al di là di quello che ha dichiarato".
Poi, finalmente, il capitolo degli omicidi. Battisti ha sempre negato di essere un assassino; ora ammette “di avere avuto un ruolo materiale o come mandante in quattro omicidi”: quelli del maresciallo degli agenti di custodia del carcere di Udine Antonio Santoro, del gioielliere Pierluigi Torregiani, del commerciante Lino Sabbadin e del poliziotto Andrea Campagna.
Nell’interrogatorio davanti al pm, Battisti è entrato nei dettagli, spiegando che il poliziotto Andrea Campagna fu ucciso “su indicazione data dal collettivo di Zona Sud in quanto Campagna era stato ritenuto uno dei principali responsabili di una retata ai danni dei compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma”.
Com’è, come si sente, come vive il carcere? "L’ho visto per la prima volta nel carcere di massima sicurezza, è una persona di 65 anni che ha tutta una storia particolare, completamente diversa dalla mia, per cui all’inizio è stato un po’ difficile. Quello che posso dire è che mi pare una persona sincera. Il mito che era stato costruito non mi sembra corrispondere per niente alla persona fisica e reale che in questi mesi sto conoscendo. Sicuramente la mia impressione è migliore di quella che la stampa aveva trasmesso".