Ha una fama sinistra, il campo di prigionia di Guantánamo, uno dei carceri di massima sicurezza dove finiscono prigionieri collegati al terrorismo islamico, più volte è finito al centro di roventi polemiche per le sistematiche violazioni delle convenzioni di Ginevra sul trattamento riservato ai prigionieri di guerra.
Fra i detenuti, ancora oggi si trova Abu Zubaydah, un cittadino saudita sospettato di legami con Al-Qaeda catturato in Pakistan nel 2002 e da allora trasferito in più carceri prima di finire a Guantánamo nella primavera del 2006.
Nella sua cella del carcere in terra cubana, Abu Zubaydah ha scelto di documentare con disegni ciò che ha subito sulla propria pelle nell’inferno di un campo di prigionia segreto in Thailandia nel 2002. Una documentazione che attraverso il suo avvocato è uscita dal carcere, diventando uno studio sui raccapriccianti metodi utilizzati dalla CIA per strappare confessioni ai detenuti.
Il rapporto, intitolato “How America Tortures” e realizzato da Mark Denbeaux, professore di legge della “Seton Hall University School of Law”, è stato pubblicato per la prima volta dal “New York Times”, dando ampio spazio ai disegni che rivelano le tecniche di tortura illustrate dal detenuto Abu Zubaydah. Ufficialmente non si parla di torture ma di “Tecniche avanzate di interrogatorio”, e furono autorizzate dall’allora presidente Bush dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, per ottenere informazioni su possibili nuovi attacchi terroristici sul territorio americano.
Secondo un rapporto dell’Intelligence del Senato, Zubaydah è stato sottoposto a tecniche di torture che simulano l’annegamento almeno 83 volte. Le immagini incluse nel rapporto ritraggono Zubaydah nudo o vestito con pochi stracci, spesso costretto in posizioni contorte e confinato in spazi ristretti, o con le braccia ammanettate sopra la testa. La CIA, al momento, ha rifiutato di commentare le immagini che stanno facendo il giro del mondo.
I disegni sono chiari, e spiegano i trattamenti subiti da Abu Zubaydah, ufficialmente il primo jihadista a subirli. Uno mostra il prigioniero nudo e su una sorta di barella, mentre qualcuno gli versa sul viso dell’acqua per provocargli un senso di annegamento. In un altro ha i polsi ammanettati alle sbarre in alto, per costringerlo a restare in punta di piedi e causargli dolori lancinanti, o ancora incappucciato e incatenato in posizione fetale, per produrre dolore dovuto a contorsioni o torsioni del corpo. Uno dei disegni più brutali mostra un carceriere che stringe un asciugamano intorno al collo del detenuto mentre gli preme con forza la parte posteriore della testa contro un muro di legno: “Continuava a sbattermi contro il muro, e ad ogni colpo cadevo a terra semisvenuto”. Ancora la tecnica di privazione del sonno, che consisteva a rimanere ammanettato sul pavimento, in una posizione così dolorosa che rendeva impossibile dormire. Secondo la CIA, la tecnica “focalizza l’attenzione del detenuto sulla sua situazione attuale”: Abu Zubaydah l’ha subita per tre settimane di fila.
Il rapporto del professor Denbeaux utilizza documenti interni dell’amministrazione Bush, ricordi dei prigionieri e il rapporto del “Senate Intelligence Committee 2014” che analizzava il programma degli interrogatori. La CIA aveva assunto a contratto due psicologi per creare il programma, ormai proibito, utilizzandolo su più di 100 detenuti. Le descrizioni dei metodi hanno cominciato a trapelare più di dieci anni fa, ma per la prima volta i disegni descrivono nel dettaglio le tecniche della C.I.A.
Le successive indagini dell’intelligence hanno dimostrato che Zubaydah non aveva alcun legame con gli attacchi dell’11 settembre, e non era un membro di Al Qaeda. Non è mai stato accusato di nulla e secondo alcuni documenti i procuratori militari non hanno alcuna intenzione di farlo. Ma resta chiuso a Guantánamo, a disegnare.