Chernobyl, o quel che ne resta, è di gran moda: la miniserie prodotta dalla HBO, che racconta i mesi successivi al disastro del 26 aprile 1986, quando uno dei reattori della centrale nucleare “V.I. Lenin” esplose, causando uno dei più catastrofici incidenti della storia, è stata un enorme successo che è servito a riaccendere i riflettori sulla quella parte dell'Ucraina settentrionale. A Chernobyl nel tempo sono state dedicate canzoni, romanzi, documentari e videogiochi: all’appello mancava solo qualcosa di più palpabile, come una vodka, perché no.
Per colmare il vuoto, un gruppo di scienziati dell’Università di Portsmouth capitanati dal professor Jim Smith, ha creato la “Atomik”, la prima vodka realizzata utilizzando acqua e grano di segale provenienti dalla zona proibita di Chernobyl. Lo scopo, più che puramente commerciale, è sociale: dimostrare che la zona non è da dimenticare e al tempo stesso contribuire economicamente verso le comunità che ancora soffrono per la sciagura. “La domanda che si fanno tutti è se la vodka sia radioattiva, e la risposta è no. Tutto quello che abbiamo raccolto dalle campagne di Chernobyl è stato distillato, e le impurità restano negli scarti”.
Per l’occasione è nata la “Chernobyl Spirit Company”, che ha invitato la facoltà di chimica dell’Università di Suothampton ad analizzare la “Atomik” per avere la conferma matematica: non c’è traccia di radioattività.
Al momento, la Atomik è prodotta in una sola bottiglia, ma entro la fine dell’anno dovrebbe essere pronta la prima produzione di 500 pezzi.